1 Agosto 1980. A ricordo dell’indomito Patrick Depailler.
Le statistiche sono il dato meno utile per poter raccontare la carriera di Patrick Depailler, un ragazzo di provincia, che ha conquistato il cuore di migliaia di appassionati delle corse. Si perché guardando solo i numeri, non si rende giustizia alla sua figura. In 95 Gp disputati, solo due vittorie, una pole position e 4 giri più veloci per un totale di 141 punti iridati.
Ma non è questo Patrick Depailler, lui è il corridore per eccellenza, lo Steve McQueen della F1 moderna. Dove la sfida nel domare un pezzo di metallo, che sia esso una monoposto di F1, una moto da cross, un deltaplano o le sbarre di un letto d’ospedale è più forte di tutto. Era così Patrick, indomito, impavido e anche un po’ filosofo. Per lui la vita era sempre al massimo, e lo testimoniano tutte le gare a cui ha preso parte, sia nei circuiti che nella quotidianità. Persino quando in lotta per il titolo 1979 di F1, non rinuncia a domare il suo deltaplano schiantandosi a 50 km orari contro la roccia, facendo temere per la sua vita.
Gambe rotte, ossa fracassate, dalle moto alle auto, non impedivano a questo francese tenace dall’aspetto ossuto di esserci comunque e sempre. Il suo credo era correre e basta, con qualsiasi mezzo. Cominciò con le due ruote spinto dalla passione di chi vuole sentire l’adrenalina scorrere per tutto il corpo, arrivando perfino a prendere il via in una gara del motomondiale 1966 in sella a una Bultaco 250, sull’orrido Nurburgring d’Auvegne.
A Patrick non facevano paura i tracciati insidiosi, lui ci era nato accanto, proprio a Clermont Ferrand, una pista che percorsa ancora oggi fa venire i brividi. Depailler l’anticonformista, colui che fu l’ultimo a fumare la sua sigaretta dentro l’abitacolo di una F1, un romantico cavaliere del rischio. La sua razione quotidiana era di 20 Gitanes, “tanto il fumo era meno pericoloso di qualsiasi altra cosa facessi”, avrebbe detto se fosse ancora in vita oggi.
Il passaggio alle auto fu incoraggiato da un altro ex centauro che dopo essersi scassato per l’ennesima volta sulle due ruote, aveva pensato di salire su una vettura da corsa. Il suo nome è noto a tutti, Jean Pierre Beltoise, altro francese con il vizio della velocità. Patrick comincia a farsi le ossa nel 1967 con il programma “ L’Operation Jeunesse” che lanciò sia lui che Henry Pescarolo al volante delle Lotus Seven. Successivamente partecipò al volante Shell, indetto dalla scuola Winfield di Magny Cours dove arrivò ventunesimo dietro a François Cevert.
E’ ancora Beltoise a caldeggiare l’ingaggio di Depailler presso l’Equipe Alpine, che allora era una vera fucina di giovani campioni, dove veniva insegnato con metodo a pilotare qualsiasi tipo di vettura in ogni domenica dell’anno. Le discipline erano molteplici, F3, Endurance, Turismo, e Rally. A Dieppe, Patrick imparò il mestiere, formandosi anche come tester, cosa che poi risultò molto utile nella sua carriera.
Sempre nel 1967 a 23 anni sposa Michelle, la sua prima e unica ragazza fino ad allora. Stanno insieme da tanti anni e sono nati lo stesso giorno dello stesso anno. Sono anni di gavetta per il giovane Depailler, che con coraggio e dedizione, si lancia ogni domenica su qualsiasi macchina la scuderia Alpine gli metta a disposizione per correre e su ogni tipo di tracciato. L’occasione buona per sfondare arriva nel 1970, grazie all’approdo nella corte di Francois Guiter, mecenate da corsa e patron della Elf l’ente petrolifero transalpino, che allevava talenti come fossero cavalli di razza.
Il nuovo sodalizio garantisce a Patrick la presenza in F2 alla Pygmeé di Marius Dal Bo, insieme a lui in squadra anche altri nomi noti, quali Jabouille e lo stesso Beltoise. Il 1970 lo vede trionfare al Tour de France al volante di una Matra con Jean Todt in veste di navigatore. Il 1971 si prospetta un anno chiave per la carriera di Depailler, che avrà a disposizione una Tecno per correre in F2 e un’Alpine per la F3 francese, curata dal motorista Bernard Dudot e dal telaista André de Cortanze. Sarà la svolta, con la velocissima Alpine, Patrick a fine anno diventa campione transalpino di F3 e poco importa se le gioie che gli riserva la F2 sono poche. Corre anche la prima Le Mans della sua vita, come compagno del pilota costruttore Guy Ligier, al quale rimarrà molto legato anche in futuro.
Il 1972, lo vede ancora in F2 sempre grazie alla Elf che ormai lo tiene in considerazione mettendolo sulla March – Elf di John Coombs. Ma il giorno più importante per Depailler è il 13 maggio, quando vince il prestigioso Gp di Montecarlo F3 sul bagnato. E’ fatta, la Elf dopo questa esaltante affermazione lo lancia direttamente verso la F1, destinazione Ken Tyrrel, per il Gp di Francia.
Una gara sfortunata che lo vede vittima di una foratura e di un’inutile inseguimento nel ruolo di comparsa. Vince il solito Stewart, ma l’appuntamento con la F1 e la Tyrrell è solo rimandato.
Alla fine del 1973 arriva infatti la grande chiamata da parte del boscaiolo, che lo vuole alla guida di una delle sue vetture. La Tyrrell è orfana di Jackie Stewart, che da deciso di ritirarsi definitivamente dalle corse per via del gravissimo incidente occorso nell’ottobre dello stesso anno all’amico e compagno di colori François Cevert, morto drammaticamente durante il Gp degli Usa al Glen.
Depailler inizia la stagione con le stampelle, perché durante l’inverno è stato vittima di un incidente con la moto da trial, dove si è rotto tibia e perone. Ma Patrick non si lascia facilmente impressionare e quando sale in macchina dà il meglio di sé, nonostante abbia come compagno di squadra uno veloce e terrificante come Jody Scheckter.
La vettura con cui inizia la stagione è la stessa lasciata da Stewart iridato, ma ormai ha segnato il passo in quanto a prestazioni. Depailler non si scompone nemmeno quando il vecchio Ken dice alla stampa inglese di rimpiangere il divino Jackie. Patrick non è d’accordo risponde ai giornalisti britannici che con quella vettura nemmeno Stewart avrebbe cavato un ragno dal buco. Da lì in poi anche Tyrrell cominciò rispettarlo, perché Depailler aveva dimostrato di avere gli attributi sia come pilota che come uomo. Il 74 è anche l’anno della vittoria nell’europeo di F2, disciplina nella quale finalmente si consacra leader.
Ormai Depailler è un pilota di rango, parla molto bene l’inglese e si è ben integrato nella squadra, così quando arriva la rivoluzionaria Tyrrell P34 ideata da Derek Gardner è lui a sobbarcarsi lo sviluppo con grande impegno. Peccato che la prima vittoria della sei ruote in Svezia 76 sia ad appannaggio di Schecketer col francese ottimo secondo. Poco male, perché è uno spettacolo vederlo guidare quella vettura tra le stradine tortuose di Montecarlo, passando preciso a fil di lama dei guard rail, con uno stile da vero domatore.
Il 1978 sempre Montecarlo gli regalerà la prima vittoria in F1, con la tradizionale Tyrrell 008, Depailler impartirà a tutti i colleghi una lezione di guida indimenticabile, sbancando il circuito salotto. Da quel momento in poi tutti i suoi detrattori smisero di avere dei dubbi nei suoi confronti, perché chi vince in quel modo nel budello urbano del principato, merita rispetto e ammirazione per il proprio talento.
Nel 1979 il passaggio alla scuderia transalpina di Guy Ligier, dove trova la Js11 una vettura sublime che fu costruita cercando di imitare e migliorare le prestazioni, della Lotus 79 vincitrice con Andretti del mondiale 78. In squadra trova come compagno di avventura un altro francese Jacques Laffite. Le prime tre gare sono un dominio assoluto, con due successi per Jacques e uno di Patrick in Spagna a Jarama. Sembra che il titolo sarà un affare privato tra i piloti della Ligier e i due ferraristi, Jody Scheckter e Gilles Villenuve.
Purtroppo però il destino si mette sempre di mezzo, insieme alla voglia matta di Depailler di dominare qualsiasi cosa si muova, con e senza motore. Uno schianto in deltaplano al Puy del Dome, costringe Patrick a lottare contro la morte. Le gambe e le caviglie sono fracassate, più varie ferite alle braccia e una sopraggiunta infezione ossea che lo manderà in apnea dal sonno per molti giorni. Si teme il peggio. La sua carriera sembra all’epilogo e Guy Ligier lo licenzia sostenendo che i suoi piloti non devono svolgere attività pericolose per via del loro impegno in F1.
Ma ancora una volta è il destino ad intervenire, sotto le mentite spoglie di Carlo Chiti gran capo dell’Alfa Corse, che propone a Depailler un volante per la stagione 1980. La casa del biscione ha bisogno di un pilota esperto da mettere a fianco del giovane Bruno Giacomelli, per sviluppare la sua nuova vettura di F1, che sembra abbia del potenziale. Patrick si presenta al primo test aiutandosi con le stampelle e fatica ad entrare nell’abitacolo, ma non molla e grazie al suo impegno riesce a far crescere seppur con grande difficoltà la monoposto italiana.
Il 1° Agosto del 1980 si tiene una seduta di test sul circuito di Hockenheim, anche Depailler e l’Alfa sono presenti per provare. La vettura sembra migliorata da inizio stagione e comincia ad andar forte, anche se è ancora molto instabile e ha già avuto due incidenti allarmanti al Paul Ricard e Brands Hatch con cedimenti meccanici alle alte velocità. Quel giorno a Hockenheim , sono previste prove di vario tipo compresi giri in assetto da qualifica, dove bisogna spremere la macchina.
Alle 11.35 la vettura di Depailler esce diritta di pista alla velocissima Ostkurve dove per i momentanei lavori di manutenzione sono state rimosse le reti di contenimento e il guard rail fa tetra mostra di sé affilato come la lama di un rasoio. L’impatto è tremendo, perché in quel tratto si passa a più di 250 km/h e i soccorritori si trovano davanti ad una scena drammatica. Depailler spirerà poco dopo in ospedale per le gravi ferite alla testa e alle gambe.
Pochi giorni prima di morire, quando era in partenza per una vacanza alle Azzorre con la nuova fidanzata Valerie e l’amico Guiter della Elf, Depailler aveva disdetto la sua polizza di assicurazione sulla vita, un gesto che può sembrare azzardato, ma racchiude appieno la natura di questo uomo coraggioso e sfortunato.
Cosa ci rimane oggi di Patrick Depailler, oltre alle sue gesta ? Restano ancor di più impressi nella mente il suo coraggio, la sua voglia di provarci sempre e la sua volontà di dominare un pezzo di ferro, qualsiasi sia la sua natura. Con fede incrollabile nei propri mezzi e la fiducia intima, che la partita con la vita non dipenda mai dal fato ma dalle propria capacità di sfidare la sorte.