Fu inventato per sbaglio, e all'inzio era grande come un armadio: ci volle diverso tempo per far diventare il primo pacemaker grande come la mano di un bambino, piccolo a sufficienza per essere impiantato nel petto di un adulto. L'inventore del pacemaker, l'ingegnere Wilson Greatbatch, è morto ieri a Buffalo, nello stato di New York, dove era nato il 6 settembre di 92 anni fa. Le cause della morte non sono state rese note, ma il genero Larry Maciariello ha spiegato che la sua salute era già da tempo «precaria».
Studioso instancabile - Ingegnere instancabile - all'attivo aveva più di 150 brevetti - Greatbatch iniziò a interessarsi all'elettronica da giovane, durante l'impiego in una radio amatoriale. Dopo essersi laureato in ingegneria iniziò a studiare la relazione tra cuore e sistema elettrico: e, tra un connessione a «onde corte» e l'altra, un giorno installò un resistore con una resistenza sbagliata, scoprendo che gli impulsi ricavati, seppure non aveano nulla a che fare con quelli che avrebbe voluto stimolare, erano identici a quelli del battito del cuore. E così nacque il primo pacemaker: per puro caso.
Il «piccolo» inconveniente - L'unico inconveniente? Tutto l'apparato elettrico era grande più o meno quanto un armadio, ed era quindo molto distante dall'essere impiantabile. Dopo mesi di lavoro per la riduzione delle dimensioni del dispositivo e diversi esperimenti sugli animali, nel 1960 il pacemaker era pronto per essere impiantato nell'uomo: il primo fu Henry Hennafeld, di 77 anni, che dopo l'intervento sopravvisse per 18 mesi. Il brevetto del pacemaker impiantabile fu registrato il 22 luglio dello stesso anno. E nel 1983 è stato nominato dalla National Society of Professional Engineers uno dei 10 contributi di ingegneria più importanti per la società degli ultimi 50 anni
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